Candidato sindaco di Torino 2021

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Radicali e Movimento5Stelle:
trovate le differenze!

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Ricordate il gioco sulla settimana enigmistica “Trova le differenze”?
Giochiamo!

Garantisti con tutti
Radicali: sì, in ogni occasione.
Pentastellati: no, a parte eccezioni interne.

Chiunque può iscriversi
Radicali: sì.
Pentastellati: no.

Tenuta di congressi annuali dove eleggere segretario e tesoriere e organi dirigenti da parte di tutti gli iscritti

Radicali: sì.
Pentastellati: no.

Difesa dell’articolo 67 della Costituzione sugli eletti senza vincolo di mandato
Radicali: sì, sempre e comunque.
Pentastellati: no, si viene espulsi se non si segue la linea e si firmano contratti capestro che vincolano le decisioni alle scelte del Garante.

Trasparenza delle decisioni
Radicali: ogni congresso e comitato è trasmesso in diretta da Radio Radicale, ogni riunione degli organi dirigenti è registrata e disponibile sul sito www.radioradicale.it
Pentastellati: lo streaming è andato in pensione.

Collaborazione con altre forze politiche
Radicali: con chiunque abbia a cuore le stesse idee si può percorrere un tratto di strada insieme (compresi i 5 stelle ovviamente).
Pentastellati: nella maggioranza a dei casi nessun dialogo e nessuna collaborazione con nessuno.

Presenza di un Collegio dei probi viri che decide sulla bontà del comportamento di iscritti ed eletti
Radicali: no.
Pentastellati: sì.

Presenza di un Garante che decide eventuali espulsioni indipendentemente dall’esito dei processi

Radicali: no, le espulsioni non sono previste in alcun caso
Pentastellati: sì

Eletti o portavoce?
Radicali: nei pochi casi, purtroppo, eletti con le proprie idee.
Pentastellati: portavoce di una fantomatica categoria: i cittadini (come se tutti i cittadini avessero una sola voce!)

Si dice quello che si fa e si fa quello che si dice
Radicali: ci si prova sempre.
Pentastellati: alla prova di governo di alcune città buona parte dei programmi elettorali tornano nei cassetti.

Democrazia diretta
Radicali: hanno promosso decine di referendum raccogliendo decine di milioni di firme.
Pentastellati: il blog e la rete come surrogato della democrazia diretta.

Utilizzo della pratica della nonviolenza
Radicali: sì.
Pentastellati: no.

Denigrazione di avversari o supposti avversari
Radicali: no, mai.
Pentastellati: assai spesso.

Inquisiti, avvisi di garanzia e onestà
Radicali: molti dirigenti sono stati inquisiti e condannati per azioni di disobbedienza civile fatte pubblicamente per ottenere la legalizzazione dell’aborto, dell’eutanasia e delle droghe leggere. Mai nello svolgimento delle proprie funzioni pubbliche.
Pentastellati: numerosi casi di amministratori inquisiti per varie tipologie di reato. Indimenticabile Di Battista che urla in faccia a Riccardo Magi “Onestà!”.

Sistema elettorale uninominale e maggioritario all’inglese che consente alla maggioranza relativa degli elettori di scegliere gli eletti
Radicali: sì, lo promuovono da sempre insieme alla maggioranza degli italiani che hanno votato 2 referendum per abolire proporzionale e preferenze.
Pentastellati: no, promuovono proporzionale e preferenze dove poco più del 5% degli elettori sceglie chi è eletto.

Diritti dei detenuti e vivibilità delle carceri
Radicali: impegnati in prima linea per il rispetto dei diritti dei detenuti e degli agenti di polizia penitenziari. Denunciano le carceri come scuole di delinquenza che non ottemperano al compito rieducativo previsto dalla Costituzione. Propongono amnistia e indulto.
Pentastellati: invocano il carcere ad ogni piè sospinto come lavacro per ogni cosa.

Responsabilità civile dei magistrati
Radicali: sì.
Pentastellati: no.

Separazione delle carriere dei magistrati
Radicali: sì, da sempre.
Pentastellati: no, oppure bho!

Abolizione dell’obbligo dell’azione penale
Radicali: sì.
Pentastellati: no, oppure bho!

Immigrazione
Radicali: con Emma Bonino proposte di governo di un fenomeno epocale che deve essere affrontato dall’Europa.
Pentastellati: dopo prese di posizione altalenanti Beppe Grillo ha proposto la sospensione del trattato di Schengen.

Stati Uniti d’Europa
Radicali: da sempre federalisti europei.
Pentastellati: no.

Reddito di cittadinanza
Radicali: no, lo ritengono economicamente insostenibile. Propongono da decenni il sussidio di disoccupazione per tutti quelli che perdono o non hanno il lavoro. Oggi un sussidio di disoccupazione europeo.
Pentastellati: sì.

Rapporti con la Russia
Radicali: i diritti umani davanti a tutto; la Russia di Putin rappresenta un pericolo da contrastare da parte dell’Europa.
Pentastellati: la Russia di Putin è il partner politico e strategico preferenziale.

Clinton o Trump?
Radicali: Clinton.
Pentastellati: indifferenti per non influenzare il voto negli USA (Di Maio). Grillo saluta la vittoria di Trump come un vaffa globale.

Un aiutino ulteriore
“Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più “radicale” di altri… Noi non “facciamo i politici”, i deputati, i leader … lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere” (Marco Pannella).

Speriamo non sia troppo tardi.
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L’Europa rischia
di far la fine
della maionese
dentro al panino

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A qualche ora di distanza dalla vittoria a sorpresa di Donald Trump, l’istinto è quello di lasciarsi trascinare dal fiume dei commenti e dello sconforto. Invece io ritengo che occorra mettere da parte la preoccupazione che deriva dal presagio di sventura che Trump rappresenta e passare a occuparci subito di cosa fare in concreto per scongiurare il peggio. Non c’è alcun dubbio sul fatto che la candidatura di Hillary Clinton abbia rappresentato quello che viene chiamato l’establishment e avesse elementi di debolezza proprio in virtù di tale evidenza. Ma non vi è dubbio che la vittoria di Trump rappresenti la vittoria del cinismo più greve e della menzogna e che oggi i tanti che si affrettano a salire sul carro del nuovo Presidente degli USA rappresentino una parte del problema e non della soluzione, perché il “vaffanculo globale” che Grillo si affretta opportunisticamente a santificare colpirà in modo violento ciascuno di noi.

Il risultato finale delle elezioni americane ci mette davanti una realtà che vede ancor più l’Europa come il vaso di coccio sempre più fragile in mezzo a vasi di ferro sempre più resistenti. Si profila infatti uno scenario globale completamente differente da quello che abbiamo conosciuto dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi dove l’Europa, sotto l’ala protettiva degli USA, ha potuto rimanere divisa e litigiosa, separata tra tanti egoismi e particolarismi, incapace di costruire uno stato federale che sapesse avere una politica estera e di difesa comune, un esercito comune, una politica sull’immigrazione comune, una politica industriale, energetica e ambientale comune.

Oggi, l’era Trump (certo ancora tutta da scoprire) prefigura con ogni probabilità nuovi scenari, dove si romperanno i fragili equilibri che hanno arginato le mire espansioniste della Russia di Putin verso l’Europa occidentale e verso il medio-oriente e dove gli stessi Stati Uniti, da alleati scomodi ma necessari, potranno trasformarsi in concorrenti assai più minacciosi. Mai come ora e mai con questa urgenza, l’Europa dovrebbe comprendere quello che sta accadendo e porre in essere tutta l’intelligenza strategica di cui è capace. Mai come in questo momento sarebbe necessario un salto in avanti per superare egoismi e nazionalismi, per creare gli antidoti a tragedie che a me oggi paiono sempre più probabili. L’accerchiamento che stiamo vivendo è minaccioso e incombente: l’invasione della Crimea da parte dei Russi, la vicenda Ucraina, le reazioni di chiusura dell’Ungheria, dell’Austria e di altri Stati sulla questione dei migranti, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, la deriva autoritaria e fondamentalista della Turchia di Erdogan (quanti errori su questo da parte dell’Europa!!), la guerra siriana dove una molteplicità di concorrenti rende apparentemente irrisolvibile il conflitto e dove si stanno misurando, come in una tragica prova, attori che potrebbero confrontarsi con gli stessi strumenti di distruzione su territori ben più ampi, la questione irrisolta della Libia, la decennale questione israelo-palestinese, oltre alle notizie di tutti i giorni che si sentono in ogni angolo del nostro continente che alimentano l’illusione del protezionismo come reazione a quello che accade, sono sintomi di un male che rischia di divenire incurabile. Questa Europa imbelle e divisa rischia di trovarsi schiacciata come la maionese in un panino se Putin e Trump dovessero dare concretezza a quel che ora pare prefigurarsi; rischiamo nuovamente di divenire terreno di conquista piuttosto che essere partner o alleati con cui trattare. L’unica soluzione è arginare questa sciagura mettendo insieme le nostre debolezze, superando vecchi trattati e lasciandoci alle spalle un’eurocrazia autodistruttiva, per costruire un’Europa federale dei popoli che sappia sognare e che sappia avere la forza, anche militare, di contrastare le due storiche superpotenze, divenendo noi stessi un vaso di ferro capace di resistere agli impatti e determinando la creazione di un nuovo equilibrio globale, senza dover passare da nuove distruzioni e nuove guerre che, è terribile dirlo, divengono altrimenti sempre più probabili nel medio periodo.

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Radicali: si è avverato
quel che da mesi

avevamo previsto, inascoltati

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RADICALI: SI AVVERA QUEL CHE ABBIAMO PREVISTO DA MESI, INASCOLTATI
Buon lavoro a Chiara Appendino e grazie a Piero Fassino per averci messo idee e faccia.

A commento dei risultati elettorali di Torino, intervengono i Coordinatori dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta, Igor boni, Laura Botti e Silvja Manzi:

Quel che è successo a Torino lo abbiamo previsto, detto e scritto, con una precisione che fa impressione con i risultati davanti agli occhi. Non lo abbiamo detto ieri ma da quasi un anno, senza trovare ascolto, così come non trovammo ascolto nella vicenda delle firme alle regionali che avremmo facilmente potuto evitare. Non si tratta, oggi, di voler assurgere al ruolo di Cassandra e di togliersi il gusto di dire ‘l’avevamo detto’. Abbiamo fino all’ultimo tentato di far comprendere quel che sarebbe potuto accadere e, malgrado l’impossibilità di trovare un dialogo concreto su come evitare tutto questo, siamo andati avanti fornendo idee e contributi a una campagna elettorale nella quale Piero Fassino ha dato il meglio di sé, con un Partito Democratico concentrato più sulla lotta intestina a colpi di preferenze che sul come cambiare verso non solo a parole.
Era il 25 settembre 2015 quando sul sito www.igorboni.it abbiamo inserito un comunicato stampa che abbiamo volutamente lasciato per 9 mesi in home page, fino ad adesso. Per inciso, non si sapeva allora nemmeno quali sarebbero stati i candidati alle elezioni e quali gli schieramenti in campo. Oggi lo possiamo utilizzare a futura memoria. Si diceva testualmente: “il caso Venaria è un campanello d’allarme evidente di come può finire al secondo turno un candidato del Partito Democratico contro un candidato dei 5 stelle (poco importa chi sia). Ritengo che immaginare a Torino lo stesso percorso – pur con dinamiche nel PD completamente differenti – non sia da folli visionari. Un candidato come Fassino che arrivasse nettamente davanti al primo turno rischierebbe comunque la sconfitta nel secondo turno dove elettori per nulla affini ai 5 stelle potrebbero convergere sul candidato grillino contro l’attuale sindaco”. È esattamente quello che è successo, con Fassino che conferma i voti del primo turno e Appendino che fa il pieno dei suoi e di tutti gli altri, che nulla hanno a che vedere con i 5Stelle.
Buon lavoro a Chiara Appendino, ora sindaco non di una parte vincente ma di tutti i torinesi e della Città metropolitana, sperando che la sua stella polare diventi Federico Pizzarotti e che, come lui, adegui alla realtà programmi e promesse da campagna elettorale inconsistenti (anche con lei siamo disponibili a collaborare dato che su trasparenza, legalità – “onestà”! -, merito, diritti, laicità ecc. forse qualcosa da dire l’abbiamo…). Grazie a Piero Fassino per averci messo presenza, passione, idee e tutta la sua statura politica di cui le nuove classi dirigenti della città dovrebbero far tesoro.
Con questo risultato Silvio Viale, candidato radicale nella lista del PD, non entra in Sala Rossa, un’opposizione senza la sua voce sarà certamente più debole e il Consiglio comunale assai più povero.
Se il Partito Democratico, dopo questa batosta, ha voglia, consapevolezza, e tempo di ascoltare e di confrontarsi, a partire da una necessaria e urgente riforma del sistema elettorale quantomeno regionale, noi siamo qua!

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Più di 4 anni fa, in splendida solitudine, manifestavamo gridando “Siamo tutti Siriani” e chiedendo l’incriminazione di Assad e dei criminali di guerra, coinvolgendo il Tribunale Penale Internazionale. Sulle nostre facce la bandiera siriana.
Dopo 4 anni la tragedia che si poteva fermare è al culmine nella più vergognosa indifferenza della comunità internazionale e dei popoli occidentali. La morte di oltre 250.000 persone e i milioni di profughi non meriterebbero l’organizzazione di una manifestazione europea oceanica?
Per quel che vale, come da 4 anni, continuerò a lasciare questa come foto del profilo a ricordare a chi comprende le violazioni di ogni più elementare diritto umano che avviene, ora dopo ora, a non molti chilometri da qui.

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Lettera aperta
ai dirigenti radicali italiani

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Cari,
ero convinto che il Comitato fosse stato fissato per il primo fine settimana di luglio e vi avrei partecipato, vedo invece che è stato convocato per metà luglio e mi sarà purtroppo impossibile prendervi parte.
Mi preme scrivervi perché sono convinto che nei prossimi mesi ci giochiamo tutto delle possibilità di proseguire il nostro percorso radicale e che vi saranno spazi da occupare, ben maggiori di quelli che son stati disponibili fino ad oggi.
Mentre la destra è ormai saldamente nelle mani di estremisti e populisti, il partito Democratico renziano conosce la sua prima vera crisi che rischia con il referendum di ottobre di aprire una deflagrazione difficilmente arginabile. In tutto questo il grillismo conquista Roma e Torino e minaccia di conquistare il Paese, se malauguratamente l’Italicum dovesse essere messo alla prova.
Lo diciamo sempre e lo dico sempre: siamo inadeguati. Inadeguati ma portatori di idee e metodi di lotta unici. L’insieme di nonviolenza, laicità, pragmaticità, ragionevolezza e visione, ci impone (impone!) di provare a guidare questa nuova fase di crisi e cambiamento, che tuttavia non possiamo e non dobbiamo leggere solo con gli occhi rivolti all’Italia o peggio a Roma, Milano o Torino.
Ho condiviso la scelta elettorale romana e milanese, così come le iniziative lanciate nell’ambito delle necessarie riforme del governo del territorio a partire dalle Città metropolitane. Tuttavia credo ormai imprescindibile per noi tornare a concentrare tutte le nostre forze su temi di valenza generale, con un respiro transnazionale o almeno europeo, nella piena consapevolezza che possiamo avere l’ambizione sfrenata di occuparci di tutto ma che sarebbe opportuno concentrare le poche forze su pochi obiettivi chiari e definiti.

Con questo spirito mi preme proporre tre priorità che trovo essere centrali e portatrici di molte delle cose che abbiamo in mente di fare e conquistare. Questi temi non escludono altri, come le iniziative in corso sulla legalizzazione delle droghe, le carceri, la caccia, il referendum olimpiadi, la lotta contro il consumo di suolo e via dicendo ma ritengo siano priorità assolute che devono venire prima di altro.

Stati Uniti d’Europa
Sono convinto che questa deve essere la nostra campagna principale, rivolta al Governo affinché si faccia promotore con noi di un’azione a livello europeo che chieda espressamente la costituzione dello Stato Federale al quale consegnare la politica estera e di difesa, le politiche sull’immigrazione, la politica fiscale ed economica, le politiche ambientali. Vale tanto più oggi dopo il risultato del referendum d’oltre manica.
Il permanere di questa situazione nella quale gli Stati nazionali continuano a mantenere gran parte delle proprie prerogative e l’Europa interviene con la Commissione che impone misure legate soprattutto all’economia non sta più in piedi. Il rischio – non sono certo io che devo segnalarlo – è quello di un ritorno agli Stati nazionali con tutto quello che questa sventura porterebbe con sé in termini di maggiore povertà per alcuni e rischi di infrangere 70 anni di pacificazione.
Solo l’Europa può essere l’antidoto ai populismi di ogni colore e natura che stanno crescendo e si stanno alimentando di questa situazione di stallo che è concime per aumentare una forza centrifuga che rischia di divenire incontenibile. Se siamo convinti che questa analisi sia corretta – e dei rischi immani ai quali potremmo andare incontro – è evidente che questa è la priorità assoluta su cui concentrarci. È quello che ho provato a dire allo scorso Congresso di Radicali Italiani, come in molte altre occasioni del passato più o meno recente.
Solo l’Europa, con frontiere comuni e guardie di frontiera europee e politiche europee sull’immigrazione e sull’accoglienza può e deve governare un fenomeno che non si fermerà domani ma che ci accompagnerà per molti anni. In tutto questo proporre di organizzare da subito navi per andare a prendere chi vuole attraversare il Mediterraneo è provvedimento impopolare ma che arriverebbe all’obiettivo di fermare l’ecatombe in corso.
Solo l’Europa può fare da contrappeso serio a una Russia che mostra giorno dopo giorno la sua arroganza e la sua voglia di espandersi, in barba a qualsiasi trattato o regola, come dimostra l’annessione illegale con la forza delle armi perpetrata in Crimea.
Proporre in questo contesto che le prossime elezioni europee si svolgano con Partiti europei (modello ALDE) ed elezione diretta del Presidente, mi parrebbe opportuno dopo gli approfondimenti e le riflessioni necessarie.

Riforma della legge elettorale
Il meglio è nemico del bene. Vero. l’Italicum, uscito dopo il Porcellum, è probabilmente una legge migliore dello scandalo senza precedenti che ha “selezionato” in Italia Deputati e Senatori per anni. Qui però occorre il coraggio di riprendere un tema che non è certo considerato prioritario dalla maggioranza degli Italiani, per dire a chiare lettere che il ritorno alle preferenze (che i Grillini propagandano come una panacea a tutti i mali) è una sciagura assoluta. Rappresenta il perpetrarsi di una selezione al contrario delle classi dirigenti, dando priorità e vantaggi a capibastone, clan e “famiglie” dentro ciascuna forza politica, a cominciare tra brevissimo tempo anche dal Movimento 5stelle. Il ritorno alle preferenze sarebbe peggio del Porcellum per dirla tutta.
Credo che una iniziativa istituzionale, con l’aiuto di Roberto Giachetti se è disponibile, di interlocuzione con le frange più avanzate del PD e di quel che resta del Centrodestra liberale di questo Paese sia urgente. Anche solo il ritorno al Mattarellum sarebbe una cura di molto migliore rispetto all’attuale situazione, che rischia di dare in mano al peggiore dei populismi l’intero Paese per la testarda arroganza del Governo Renzi, che su questo tema pare non voler comprendere e sentire ragioni. Oggi, con i risultati dei ballottaggi che prefigurano cosa potrebbe accadere a livello nazionale, qualche crepa potrebbe essersi aperta per arrivare al maggioritario uninominale a un turno. Io penso dovremmo provarci. Peraltro la Mozione Giachetti poteva farci percorrere un’altra strada ma dallo stesso PD di allora arrivarono veti che oggi paghiamo salati.

Diritti umani
“Radicali”, per quanto mi riguarda, significa lotta per i diritti umani. Credo dovremo riprendere il filo di iniziative che, partendo da casi specifici, sappiano comunicare come la questione del rispetto dei diritti umani nel mondo sia il primo dei pilastri da conquistare, proteggere e promuovere. La questione dei diritti e della democrazia, insieme alla libertà di mercato e di impresa, che abbiamo ben declinato per decenni, sono elementi strettamente connessi al dossier immigrazione. In un Paese come l’Italia, che per la prima volta da anni vede un decremento della propria popolazione (dopo molti anni di crescita zero o zero virgola), continuiamo a importare raccoglitori di pomodori dal nordafrica che paghiamo in nero piuttosto che importare i pomodori in nome di un protezionismo che ha come unico effetto di affamare intere popolazioni. Protezionismo spesso condito con terzomondismo ipocrita che non si può sentire. Anche questi sono muri da abbattere. Legare i diritti alla democrazia e alla libertà di mercato è un’operazione radicale che proprio ora dovremmo ricominciare a fare con vigore, per contrastare le vergognose prese di posizione contro l’immigrazione che vengono da destra e un certo buonismo di sinistra che è l’altra faccia della stessa medaglia.

C’è poi la questione interna alla casa radicale. Io – per mia fortuna – non ho vissuto le dinamiche di Torre Argentina. Ho fatto politica con molti compagni nelle periferie del nord-ovest, abbastanza (anche se a volte non troppo) lontano dal volo di coltelli per poter proseguire senza particolari ferite nell’azione e mantenendo inalterata la passione per la politica radicale.
La sensazione è che il solco che si è ormai creato tra i sostenitori (per sintetizzare) del PRNTT e quelli di RI e Associazione Luca Coscioni sia incolmabile. Non si tratta di visioni politiche differenti – quelle ci sono ma sono ormai più un pretesto a mio parere – ma di dinamiche e contrasti più personali che altro, i quali hanno raggiunto livelli di non ritorno.
Ho sempre pensato e scritto che avremmo dovuto essere capaci di mettere insieme le poche forze che abbiamo e lottare uniti per obiettivi comuni, provando a sommare le energie, piuttosto che utilizzarle gli uni contro gli altri. In una lunga lettera aperta del 2005 lo scrissi e fui “massacrato”, eppure gran parte di quei nodi è ora arrivato al pettine in modo evidente per tutti. C’è chi come Sergio Ravelli non perde occasione per ricordare, travisandolo, quel testo anche se, appunto, pare non averlo compreso fino in fondo.
In questa dinamica “malata” si inserisce ora Giovanni Negri con la sua “Marianna”. Io prendo questa novità con curiosità e attenzione perché Giovanni è persona di grande intelligenza e capacità e chi leggesse questo ritorno in campo semplicemente con fastidio o sospetto credo commetterebbe un grosso sbaglio. Certo, se questa vicenda dovesse aggiungere un nuovo tassello di contrasti, nell’intricata rete di scazzi radicali, allora avrebbe forse come unico risultato di portare a termine più rapidamente una storia, sulla falsa riga di quanto accaduto ai Socialisti dopo la morte di Bettino Craxi. Se invece, come spero, fosse fonte di nuove riflessioni e di nuove energie, potrebbe invece anche essere un pezzo della soluzione.
Chiedo a ciascuno di noi di guardare con approccio laico e pragmatico anche le vicende interne e di valutare queste proposte e riflessioni.

Con affetto.
Igor

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Marco è eccessivo
anche da morto

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Marco è eccessivo anche da morto. I telegiornali straripano di immagini, interviste e servizi per ricordare il combattente nonviolento della democrazia e dei diritti; i giornali traboccano di inchiostro in pagine e pagine di ricordi elogiando i successi; i Social Network esplodono di commenti e commozione per chi ha cambiato questo Paese e l’Europa e non solo, al netto dei soliti imbecilli da tastiera che dileggiano sempre e in qualunque occasione, nel chiuso delle loro stanze e delle loro vite. Quegli stessi organi di informazione, vero e proprio incubo e obiettivo dei Radicali e di Pannella, che hanno censurato, deriso, vilipeso, dileggiato ma soprattutto mai valorizzato abbastanza il sessantennio di lotte radicali, oggi tributano un sincero riconoscimento. C’è, certo, l’ipocrisia dei coccodrilli e della retorica stantia dedicata a chi ci lascia ma c’è affetto, riconoscenza, compassione (parole care a Marco).

C’è un’Italia – e non solo – che si trova orfana di chi fino ad oggi non ha compreso pienamente, non ha fatto proprio, non ha amato come avrebbe dovuto. Un’Italia piccola che si inchina a uno dei pochi grandi della nostra storia recente. Per quanti politici mondiali si mobiliterebbero il Papa, il Presidente della Repubblica, il Dalai Lama, premi nobel di tutto il mondo, avversari storici e leader europei e internazionali per portare un ricordo e un ringraziamento?

Marco è stato una vita in piena; ha rotto gli argini del perbenismo, ha spazzato tabù, ma soprattutto ha costruito consapevolezza e diritti. Ha costretto tutti alle proprie responsabilità. Anche chi non l’ha compreso per tempo.

Ho vissuto per oltre 30 anni le battaglie radicali in prima fila, e ho avuto modo di conoscere di persona i suoi eccessi, di generosità e di cattiveria, di altruismo e di passione. Ho toccato con mano la sua forza, nel bene e nel male. In questi giorni alcuni amici hanno chiamato per farmi le condoglianze per la morte di Marco, quasi fosse mio padre. Le condoglianze le accetto solo se chi le fa comprende che sono da dedicare più a chi non ha mai partecipato a questa ragionevole follia radicale, piuttosto che a chi ha dedicato forze, tempo e denaro per le idee di libertà che Pannella rappresenta. E non ha intenzione di smettere….

Oggi tuttavia credo dovremo fare tesoro di questo affetto, della fila interminabile di persone che attendono di salutarlo, per guardare avanti con una forza più grande di prima; con serenità mi vien da dire. Marco è e sarà irripetibile, meglio che questo ce lo mettiamo in testa tutti, a cominciare dai Radicali. Ma il patrimonio di idee e progetti, l’impostazione politica originale e unica che ha tenuto in piedi il movimento radicale per oltre mezzo secolo, la laicità e la libertà come somma di diritti e doveri, la ragionevolezza e la pragmaticità, la fantasia e la nonviolenza, dobbiamo farli vivere nelle nostre battaglie, attuali e future. Perché la storia non finisce il 19 maggio 2016; le lotte dei laici, dei liberali e dei libertari devono andare avanti nei modi e nelle forme che saremo capaci di concepire e far vivere. Non sarà facile ma ci proveremo.

In conclusione una osservazione e un consiglio che do innanzitutto a me stesso. Quante volte Marco ci ha spiazzato fino a farci contorcere le viscere? Quante volte ci ha convinto e quante non ce l’ha fatta? Non è stato solamente un anticonformista e controcorrente: è stato controcorrente contro chi era controcorrente e anticonformista tra gli anticonformisti. Aveva il gusto di stupire, di sparigliare, di abbattere le certezze, e aveva l’intelligenza (forse la dote più grande) per trovare spesso – non sempre – la soluzione, la chiave di volta, la leva giusta. Quante volte ciò che alla maggioranza di noi pareva ragionevole e giusto per lui era banale e inutile? Quante volte ci ha provocato rabbia per le sue posizioni apparentemente incomprensibili, alcune delle quali continuo a giudicare incomprensibili. Consiglio a tutti di evitare di dire o pensare, in un futuro vicino o lontano: “Marco avrebbe fatto …”, “Marco avrebbe detto …”, “Marco avrebbe scritto …”. Sono certo che quelle ipotesi sarebbero sbagliate e che non renderebbero giustizia alla unicità di ciascuno di noi, che ha il dovere di essere se stesso, pur conservando nel cuore e nei ricordi la fortuna di averlo conosciuto e di avere percorso un tatto di strada con lui e con la sua energia; un tratto di strada che ci ha cambiato e trasformato, profondamente e indelebilmente.

Ciao Marco.

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Ipla: chiuso in attivo il bilancio 2015
approvato dall’Assemblea dei soci

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Si è svolta oggi l’Assemblea ordinaria dei Soci nella quale l’Amministratore unico Igor Boni ha presentato il bilancio della Società – approvato dai Soci – che chiude il 2015 con circa 12.000 € di attivo. Durante l’incontro sono stati presentati gli obiettivi raggiunti durante l’anno passato e le prospettive e criticità del 2016.

Di seguito i dati più importanti illustrati, risultato di azioni pluriennali di contenimento dei costi e rilancio della Società:
● Chiusura del bilancio 2015 con un attivo di circa 12.000 €.
● Riduzione dei costi del personale del 20%.
● Dimezzati i costi generali e quasi dimezzato il costo degli organi di amministrazione.
● Ridotto di oltre il 90% i rimborsi complessivi dell’organo di amministrazione.
● Nessun utilizzo della Cassa Integrazione in deroga.
● Riduzione dei debiti verso i fornitori e dei crediti dalla Regione.
● Impostazione strategica di progetti internazionali.
● Rispetto rigoroso dei tempi di consegna dei progetti e della qualità dei lavori.
● Rispetto della normativa sulla trasparenza con pubblicazione sul sito in tempo reale di bilanci, provvedimenti, incarichi, curricula e compensi in “Società trasparente”.
● Redazione e pubblicazione del Codice di comportamento dei dipendenti IPLA e del Piano triennale anticorruzione 2016-2018.
● Completamento della manutenzione straordinaria degli edifici grazie all’impegno regionale.
● Ingresso in Istituto di cittadini e scuole per diffondere conoscenze sull’ambiente.

Dichiarazione di Igor Boni
Il 2015 chiude in attivo ed è una buona notizia che non era scontata. Si tratta del terzo anno consecutivo nel quale l’IPLA è di nuovo in carreggiata rispetto ai conti, dopo le gravissime difficoltà del 2011 e 2012. Ci tengo a sottolineare che il 2015 è il primo anno dove siamo di nuovo riusciti a mantenere i conti in ordine, senza l’utilizzo di ammortizzatori sociali e rispondendo con prontezza sempre maggiore a tutte le esigenze progettuali che il nostro principale committente (Regione Piemonte) ci ha sollecitato. Tutti insieme abbiamo dimostrato che è possibile gestire una Società partecipata in modo trasparente e lavorare in una Società partecipata in modo virtuoso, lasciando fuori dalla porta clientele, favori e tutto quanto ha contribuito a fare di alcune partecipate un problema da risolvere più che una risorsa. L’urgenza attuale è individuare un nuovo progetto di riforma strutturale da realizzare, per dare stabilità a una situazione ancora precaria, dopo che purtroppo si è arenata l’ipotesi di costituzione dell’Agenzia Foreste e Territorio che avrebbe dovuto mettere insieme IPLA con operai e impiegati forestali e alcuni dipendenti regionali”.

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Pillola del giorno dopo:
abolito l’obbligo di ricetta
Ennesima vittoria radicale
per il diritto alla maternità responsabile
e alla salute sessuale

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La battaglia dei Radicali per rimuovere la ricetta per la contraccezione di emergenza si è conclusa 16 anni dopo l’introduzione del “Norlevo” nel lontano 2000. Il nostro Paese, fino a ieri, manteneva l’obbligo della ricetta “non ripetibile” per accedere all’anticoncezionale. Una vittoria ottenuta dopo 16 anni, grazie innanzitutto alla tenacia e alla forza di Silvio Viale che nel 2010 fu addirittura sanzionato dall’Ordine dei medici per avere prescritto sin dal 2004, alle donne che ne facevano richiesta, la contraccezione di emergenza (Norlevo e Lonel) per le strade e davanti alle scuole di molte città italiane.
Dichiarazione di Igor Boni, Laura Botti e Silvja Manzi (Coordinatori dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta)
Oggi è un giorno importante perché possiamo dire di aver conquistato un passo avanti per tutti. E’ una vittoria che rivendichiamo con orgoglio. Per arrivare a questo obiettivo ci sono voluti 16 lunghi anni di richieste, manifestazioni, disobbedienze civili e iniziative di informazione per strada e nelle scuole. 16 anni per ottenere una cosa di una banalità lampante: abolire l’obbligo di ricetta per la contraccezione d’emergenza che, come è ovvio, ha massima efficacia se assunta immediatamente dopo un rapporto a rischio. La ricetta è stata per lunghi anni un ostacolo e l’alibi dell’obiezione di coscienza di molti, hanno reso ancor più complesso ciò che invece deve essere rapido e semplice. Silvio Viale è stato il protagonista di questa lotta e noi con lui. Chi esce sconfitto da questa vicenda è innanzitutto l’Ordine dei medici che nel 2010 si è macchiato della vergogna di sanzionare chi metteva a disposizione il suo tempo e la sua professionalità per fornire ricette a chi le chiedeva, saltando gli ostacoli posti da una normativa assurda. Oggi possiamo dire che la ragionevolezza dei laici e dei Radicali ha avuto ragione su conservatori e falsi obiettori”.

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UNO DEI NEMICI PIU’ INSIDIOSI SI CHIAMA ASSUEFAZIONE

In Siria siamo sulla soglia di mezzo milione di morti e quattro milioni di profughi. Città distrutte, civiltà distrutta. Lo abbiamo visto dall’inizio che sarebbe accaduto e abbiamo emesso silenzio, come altre volte. Abbiamo indicato la strada del Tribunale penale internazionale quando ancora era percorribile, incriminando Assad e i suoi complici e chiunque si fosse macchiato di crimini contro l’umanità. Ma nulla di nulla. Abbiamo chiesto mobilitazione alle Istituzioni, ai cittadini. Ma nulla di nulla.
Sulla pelle dei siriani si giocano molti interessi contrapposti che vedono su quel territorio una concentrazione senza precedenti di scelte sbagliate, di non scelte e di opportunismi feroci: Putin e la Russia ne sono l’esempio lampante ma non sono certo i soli.
Un popolo intero fugge dalla guerra e dalla distruzione e trova morte nel Mediterraneo e fili spinati per ostacolare un esodo che non è arginabile. Ma il filo spinato più grande, più alto e più impenetrabile che stiamo ergendo un po’ tutti si chiama assuefazione. L’Assuefazione di ascoltare giornalmente elenchi di bambini annegati senza indignarci nel profondo e di vedere immagini di disperati che dormono accumulati come non consentiremmo nemmeno agli animali di essere.
Mi sono sempre chiesto perché durante il Nazismo non ci fosse dall’interno della Germania un moto popolare di rivolta contro quello che accadeva. Come potevano non sapere? come potevano accettare? Non so se anche allora l’assuefazione fosse un elemento importante ma temo proprio di sì.
Mentre “quelli” muoiono come mosche noi che facciamo? Cambiamo canale per non disturbare la serenità della cena. Dobbiamo vergognarci, come europei, come uomini. Ma più di tutto dovremmo avere la forza di creare un movimento di opinione enorme – a partire proprio dalla sonnolente Europa – che sappia far comprendere come quel che sta accadendo non può e non deve più accadere. Non si tratta semplicemente di chiedere pace o di affermare retoricamente “Siamo tutti siriani”; si tratta di chiedere un intervento internazionale che sappia essere strumento di giustizia come in ex-Yogoslavia, perché quando affermiamo che non c’è pace senza giustizia, che non potrà mai esserci pace senza giustizia, affermiamo che ogni Stato, ogni cittadino è responsabile. Un movimento di opinione che non consenta alla Russia, alla Turchia, agli USA e all’Europa di curare interessi e disinteressi sulla pelle dei siriani. Ne abbiamo, ne avremo la forza? Temo di no ma occorre provarci ancora.

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Unioni Civili: “Porca miseria!
Fino a ieri dove eravate?”
Non abbiamo paura di esser diversi

editorialino nuovo dimensionato

L’onda che monta a sostegno dell’approvazione della Legge Cirinnà così com’è, mi provoca reazioni contrastanti. Da una parte c’è la soddisfazione di vedere che finalmente un settore importante della popolazione e degli opinionisti (o degli “opinion leader” come si usa dire) si espone a sostegno dei diritti delle coppie omosessuali, inondando il web e occupando tutto ciò che è possibile, compreso il microfono di Sanremo con le simboliche strisce arcobaleno. Dall’altra mi provoca una riflessione amara su quanto tempo s’è perso e sul perché fino a ieri questa lotta era solo nostra (per molti anni) e poi relegata in una cerchia ristretta del cosiddetto mondo LGBT impegnato.

Fino a quando le rivendicazioni dei diritti sono fatte solo da chi se li vede negati la pasta non lievita. Quando a chiedere diritti sono settori trasversali della popolazione allora la lievitazione parte a dovere e il risultato può essere raggiunto. E’ valso allo stesso modo per l’aborto e il divorzio e deve valere per le nuove frontiere dei diritti: le coppie omosessuali e l’eutanasia.

Tuttavia la parte amara della riflessione resta. Resta il ricordo degli anni 1970 dove il FUORI e il Partito Radicale in solitaria rivendicavano diritti, spesso derisi, vilipesi e insultati tanto da destra quanto da sinistra. Resta l’amarezza di un successivo trentennio nel quale quelle rivendicazioni sono rimaste chiuse nel recinto ristretto del movimento di liberazione omosessuale che non ha avuto sbocchi politici, a parte – come sempre – i Radicali e poco altro. E resta, parlando di qualcosa di più vicino nel tempo e nello spazio, la lotta torinese per le unioni civili che ci ha visto in piazza dal novembre del 2008 per mesi, d’inverno, a raccogliere firme su una delibera di iniziativa popolare per chiedere il riconoscimento delle unioni civili a Torino, il rilascio del “certificato di famiglia anagrafica basato sul vincolo affettivo” e affermare il principio di non discriminazione nei settori di competenza dell’amministrazione comunale: case popolari, servizi sociali e sanitari, assistenza ad anziani e minori, scuola, formazione ed educazione. Quelle oltre 2500 firme – insieme ad altre iniziative comunali in giro per l’Italia – raccolte con difficoltà, in un clima di disinteresse prevalente, anche da parte di molte associazioni di omosessuali, hanno costretto il Consiglio comunale al dibattito e alla decisione. Nel giugno 2010 la Delibera è stata approvata, contribuendo ad aprire la strada alle vicende degli ultimi mesi dove questo tema è sulla bocca di tutti.

Ben venga quindi questa legge – che è già un compromesso al ribasso rispetto a quel che sarebbe dovuto essere – ma non posso negare di percepire un retrogusto di fastidio per qualcosa che puzza di conformismo quando vedo montare questa onda di consensi; da anticonformista, se mi trovo in maggioranza, la questione mi preoccupa anche se ho piena consapevolezza che le cose cambiano e le vicende di adesso sono figlie anche del nostro impegno solitario di ieri.
Il rimpianto del troppo tempo passato è forte; per questo mi vien da dire: “Porca miseria! Fino a ieri dove eravate?”. Ma lasciamo da parte l’amarezza e diamo una lezione di laicità e di umanità ai vari Gasparri, Maroni, Formigoni, Adinolfi, Salvini e vari cattodem. Conquistiamo diritti per chi non li ha, senza togliere nulla a nessuno. Questa è la differenza con i clericali e i conservatori: noi non vogliamo imporre il nostro modello per legge e non abbiamo paura di essere diversi.

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