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L’obiettivo di questo documento è tentare di impostare proposte concrete, in parte già attuate da alcuni governi europei, che possano condurre nel medio periodo ad una riduzione delle emissioni e contemporaneamente condurre a una riduzione dell’anidride carbonica in atmosfera, tramite il fissaggio del carbonio nel suolo e nelle biomasse forestali.

Non ho certo la presunzione o la pretesa di avere inserito tutto ma l’intenzione è quella di aprire per Radicali Italiani e per +Europa una stagione di riflessione e di lotte in campo ambientale, sfruttando campagne e progetti già avviati in passato e la nostra capacità di utilizzare anche in questo settore un approccio laico.

Premesse

Politiche ambientali e di contrasto al continuo incremento di emissioni di gas climalteranti in atmosfera (anidride carbonica e metano innanzitutto) sono il principale esempio di come sia sostanzialmente inutile ragionare dentro i confini di un singolo Stato e occorra mettere in atto politiche di respiro per lo meno continentale. Anche una visione di dimensione europea è sostanzialmente insufficiente, dato che è soprattutto in altre parti del globo che si stanno producendo gli incrementi maggiori di emissioni. Non c’è dubbio tuttavia che efficaci politiche europee sul tema avrebbero la capacità di incidere anche a livello globale.

Il faro da seguire è la fine dell’era del petrolio che ovviamente oggi è solo un’evocazione ma che può divenire realtà grazie ad un percorso che occorre compiere. Il cambiamento tecnologico e il cambiamento delle scelte delle imprese deriva dalle innovazioni e dalla ricerca ma anche dalle richieste dei consumatori: i capitali si orientano su tecnologie sostenibili anche spinte dalle opinioni dei cittadini. Per questo l’azione politica che possiamo realizzare è di fondamentale importanza ben sapendo tuttavia che non esiste una sola soluzione miracolosa, ma necessita impostare una serie di provvedimenti che abbiano da una parte l’effetto di ridurre le emissioni e dall’altra l’effetto di trasformare una parte dell’anidride carbonica atmosferica in carbonio organico. Le due azioni sommano i propri effetti poiché da una parte riducono la massa di tonnellate di CO2 che invadono la nostra atmosfera e dall’altra trasformano e fissano una parte della CO2 grazie all’azione della vegetazione e dei suoli.

L’articolazione delle proposte si traduce in 5 azioni, le prime due rivolte alla riduzione delle emissioni, la terza relativa alla protezione degli stock di carbonio presenti, la quarta e la quinta volte a incrementare i suddetti stock.

1) Mercato europeo del carbonio (Emission Trading)

La Direttiva europea ET (Emission Trading) del 25 ottobre 2003 ha aperto la possibilità di realizzare un mercato delle emissioni di CO2 a livello europeo. Il mercato si è concretamente attivato nel 2005 e coinvolge circa 12.000 imprese europee – cementifici, cartiere, raffinerie, centrali elettriche e così via – fissando un tetto annuale per le emissioni di CO2 che ogni settore industriale può emettere nell’atmosfera con le sue attività produttive e di trasformazione.

Se un’industria emette quote in misura maggiore di quanto stabilito deve acquistarle sul mercato in aste pubbliche o da altre aziende; se un’industria virtuosa attua il proprio ciclo produttivo emettendo meno quote di quelle previste allora le quote può cederle alle industrie meno virtuose.

Le quote sui calcolano in tonnellate di CO2 emessa e la quotazione è calcolata in €/Ton di CO2 emessa.

Dopo un inizio con quotazioni di circa 30 €/Ton, per diversi anni i prezzi della CO2 sono rimasti molto bassi (6-10 €/Ton) a causa di un notevole surplus di crediti determinato da diversi fattori, tra cui l’assegnazione gratuita di quote alle industrie.

I prezzi molto bassi delle quote non hanno incentivato investimenti in tecnologie efficienti e sono così proseguiti utilizzi dei combustibili più inquinanti e meno cari come il carbone.

Da febbraio 2018 tuttavia il prezzo è tornato a salire sfiorando attualmente i 20€/Ton per il concomitante aumento della domanda dopo la crisi economica mondiale e la riduzione dell’offerta di quote gratuite.

Ma il cambio radicale nel mercato avverrà dal primo gennaio 2019, quando partirà a pieno regime il meccanismo della Market Stability Reserve (MSR), che ogni anno ritirerà il 24% delle quote eccedenti/inutilizzate, dirottandole nella “riserva”, in modo da equilibrare il rapporto tra domanda e offerta dei crediti di carbonio. Tale scelta ridurrà nettamente la disponibilità dei crediti e farà ulteriormente salire il prezzo (si valuta fino a quasi 40€/Ton nel 2020).

Con valori di mercato a questo livello le industrie saranno spinte da una parte a utilizzare combustibili a minore tasso di emissione e ad investire in tecnologie innovative capaci migliorare l’efficienza energetica e quindi di ridurre le emissioni stesse. E’ quindi probabile che per effetto di questo provvedimento si ridurranno le emissioni complessive delle 12.000 aziende e che aumenterà nettamente il consumo di gas a scapito di altri combustibili fossili (in particolare in Italia dove anche per questo il TAP risulta assolutamente strategico).

Comincerà dal 2019 la più grande rivoluzione programmata per il mercato continentale della CO2 con effetti che saranno da monitorare e valutare ma che si annunciano positivi. Da sottolineare che questo accordo sul mercato dei crediti di carbonio, non votato dall’Italia dal Governo Gentiloni, potrebbe dalle simulazioni realizzate ridurre ogni anno le emissioni di CO2 fino a 90 milioni di tonnellate.

Questa politica di intervento sul mercato che a prima vista non può essere definita liberale, in realtà cambia di prospettiva se si considera l’esternalità negativa che produce l’inquinamento. In questo modo l’intervento europeo spinge, tramite un’azione indiretta, al miglioramento tecnologico e alla riduzione degli impatti.

Restano da approfondire gli effetti distorsivi sul breve periodo a carico delle imprese europee in confronto alle altre imprese che non sono soggette al mercato europeo dei crediti di carbonio.

2) Carbon Tax

Il comprato che maggiormente ha prodotto un incremento delle emissioni di CO2 sono sicuramente i trasporti. E’ importante sottolinearlo dato che già la strategia di Europa 2020 impegnava l’Italia a ridurre le emissioni di circa il 16% nel 2020 rispetto al 2005.

Un provvedimento che va proprio in questa direzione è l’introduzione di una Carbon Tax che rappresenta una misura coerente con il noto principio del “chi inquina paga”.

Questo provvedimento non è assolutamente nuovo: è già stato utilizzato in molti Paesi del nord-Europa e anche dall’Italia tra il 1998 e il 2005. In Italia in particolare un provvedimento di questa natura avrebbe un significato ancora maggiore dato che siamo il terzo paese per emissioni di gas serra in Europa e l’undicesimo al mondo.

Come Radicali, con la campagna “Meno inquino Meno pago” abbiamo da tempo proposto una Carbon Tax partendo dall’assunto che le imposte sui carburanti sono scontate per quasi 6 miliardi nel 2014 a settori che inquinano molto come trasporto pesante su gomma, aereo e navale e che eliminando questi sussidi iniqui e dannosi per l’ambiente, si avrebbero soldi da utilizzare per ridurre le tasse sui redditi da lavoro e impresa, aiutando e incentivando al contempo gli investimenti nell’innovazione dei settori oggi sussidiati.

Studi sul tema della Carbon Tax valutano gli effetti sia sulle famiglie, sia sulle imprese. Come da tempo da noi proposto, i ricavi della tassa potrebbero essere utilizzati per contenere le imposte sul lavoro e/o utilizzare il gettito per ridurre gli oneri attualmente imposti per incentivare le energie rinnovabili. In questo modo si potrebbe mantenere invariata la pressione degli oneri fiscali sull’intero sistema economico e al contempo si andrebbe verso il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla strategia europea e dall’accordo di Parigi

L’Italia ha un tasso di motorizzazione tra i più alti del mondo: si contano oltre 600 veicoli per ogni mille abitanti contro un valore inferiore a 500 nella media europea. Il numero di veicoli per abitante cresce da venticinque anni. Le emissioni di gas serra del settore dei trasporti costituiscono circa un quarto del totale in Italia. Vi è quindi è un aumento delle emissioni totali malgrado la riduzione delle emissioni per ogni singolo veicolo, derivante dal miglioramento tecnologico dei motori. La Carbon Tax è un metodo per produrre l’internalizzazione dei costi dell’esternalità negativa.

Per andare al concreto, si può scegliere di eliminare gli sconti sui carburanti per i settori “privilegiati” o introdurre una tassa generalizzata sull’utilizzo dei carburanti derivanti da idrocarburi fossili. In questo ultimo caso una Carbon Tax di 17€/Ton di anidride carbonica emessa (ammontare proposto dal Governo francese nel 2009) o di 100€ (un valore vicino a quanto reputato necessario dalla IEA per mantenere la crescita della temperatura al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali) si tradurrebbe rispettivamente in un’accisa al litro di carburante compresa tra i 4 e i 24 centesimi di euro (“La tassazione “verde” in Italia: l’analisi di una carbon tax sui trasporti” di Federico Cingano e Ivan Faiella, 2013).

In questo contesto di dati la proposta lanciata da Marco Cappato e Monica Frassoni di 40€/Ton da portare nel medio periodo a 100€/Ton è in linea con queste valutazioni. Le simulazioni realizzate nello studio suddetto indicano che con una Carbon Tax di questo tipo in Italia si avrebbe una riduzione delle emissioni di circa 5 Mt/anno e un aumento di gettito addizionale compreso tra 1 e 5,3 miliardi di euro per le sole famiglie (Tra queste sono le famiglie più abbienti, con maggior numero dia auto, a pagare maggiormente la tassa). Se la Carbon Tax fosse rivolta, come opportuno, anche alle imprese il gettito raggiungerebbe un importo compreso tra i 2 e i 10 miliardi di euro a secondo degli importi scelti. Le imprese sarebbero anche con questo strumento a investire in tecnologie innovative per la riduzione delle emissioni.

3) Una legge sulla protezione del suolo

Dopo anni di studio e di riflessioni su come affrontare il problema della protezione del suolo, nel settembre del 2006 è stata emanata la “Strategia tematica per la protezione del suolo” (Brussels, 22 settembre 2006 COM(2006)231) che contiene anche una proposta di direttiva quadro che tuttavia non ha mai visto la luce.

La strategia abbiamo, come Radicali, contribuito a farla emanare grazie alle interrogazioni presentate allora al Parlamento europeo che chiedevano una presa d’atto formale dell’Europa e l’emanazione anche della direttiva quadro.

All’interno della Stretegia tematica, che è il quadro entro il quale ogni Paese deve legiferare, si individuano le principali minacce che incombono sul suolo e le linee di azione che devono essere poste in essere per mitigare gli effetti di tali minacce.

Le principali minacce sul suolo sono individuate nelle seguenti: erosione, diminuzione della materia organica (direttamente correlata ai cambiamenti climatici), contaminazione locale e diffusa, impermeabilizzazione (consumo di suolo), compattazione, diminuzione della biodiversità, salinizzazione, inondazioni e smottamenti, acidificazione.

Dato che in Italia non esiste alcuna normativa in merito e che tutti i riferimenti legislativi sulla “difesa del suolo” in realtà non fanno riferimento al suolo propriamente detto ma, in virtù di una eredità fascista, si riferiscono all’italico suolo (cioè al territorio e alle infrastrutture), occorre colmare questo vuoto.

Segnalo che su questo argomento ci lavoro da una quindicina di anni e che in numerosi congressi nelle commissioni tematiche sono intervenuto illustrando nei dettagli la situazione. La proposta di legge che ho elaborato e consegnato a Riccardo Magi si struttura come una integrazione del Decreto ambientale 152/2006 e ha lo scopo di portare avanti l’impegno politico per la protezione del suolo nel nostro paese, seguendo le indicazioni che ci vengono fornite dai documenti europei. Per questo motivo nel testo sono esplicitamente inserite le minacce suddette e per ciascuna delle minacce viene proposto un percorso legislativo da svolgere, regione per regione, nell’ambito di indicazioni metodologiche nazionali (contenute negli allegati alla legge per ciascuna delle minacce) che consentono un’uniformità della intensità delle azioni e dei rimedi proposti.

E’ infatti a livello regionale che meglio si possono definire le ‘aree a rischio’ previste nella direttiva europea e i ‘programmi d’azione’ per ridurre gli effetti di ciascuna delle minacce.

Rispetto al tema del consumo di suolo si prevede il prioritario riutilizzo di aree cementificate abbandonate e degradate e per nuove edificazioni l’introduzione della “campensazione ambientale”, già attiva in altri provvedimenti legislativi su altre risorse naturali come i boschi; compensazione ambientale che è stata peraltro anche sostenuta da Legambiente. La compensazione ambientale può essere realizzata tramite interventi di miglioramento delle funzioni del suolo in altre aree rispetto a quelle edificate o tramite il pagamento di una tassa che alimenta un fondo comunale di compensazione ecologica che è vincolato all’utilizzato per migliori delle dinamiche ecologiche e delle funzioni ecosistemiche all’interno del territorio comunale. Il principio è lo stesso della Carbon Tax: internalizzare i costi per sanare le esternalità negative prodotte (in questo caso dalla eliminazione delle preziose funzioni del suolo).

Rispetto ai cambiamenti climatici è evidente la stretta correlazione che esiste tra suoli e clima. Il suolo è il maggiore contenitore sulle terre emerse di carbonio organico. La diminuzione di carbonio organico nel suolo corrisponde direttamente all’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera. Proteggere il suolo dalla cementificazione e dalla degradazione significa ridurre le emissioni e, anzi, consentire al suolo di contenere maggiori quantitativi di carbonio a spese proprio dell’anidride carbonica atmosferica che potrebbe in questo modo essere ridotta.

4) Politiche di salvaguardia e incremento del carbonio organico

La Politica Agricola Comune (PAC), pur nelle sue distorsioni del mercato e nel danno che provoca ai produttori agricoli esterni all’Unione, ha elaborato da tempo una divisione in due pilastri. Il primo pilastro che occupa il 75% delle risorse corrisponde agli aiuti diretti derivanti dal sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli e dalla integrazione diretta dei redditi degli agricoltori (ti pago in base agli ettari che hai e alle colture che fai). Il secondo pilastro, malgrado sia meno ricco, è in costante aumento riforma dopo riforma, ed è dedicato a quello che viene definito “Sviluppo Rurale”. In questo caso i pagamenti alle aziende sono condizionati alla attuazione di misure che riducano gli impatti negativi dell’agricoltura.

In questo ambito si può agire su due fronti.

Il primo di carattere prettamente europeo per far sì che la prossima programmazione 2021-2028 dedichi sempre meno risorse al primo pilastro per aumentare quelle del secondo pilastro. In questo modo si ridurrebbero gli effetti negativi sul mercato, favorendo l’ingresso di merci da paesi in via di sviluppo (peraltro il modo migliore di aiutarli a casa loro è sostenere le loro economie agricole invece di bloccare i loro prodotti) e al contempo aumentando le azioni virtuose di protezione ambientale sui nostri territori europei.
Il secondo a livello locale (regionale per quanto riguarda l’Italia dato che i PSR – Programmi di Sviluppo Rurale – sono di competenza delle Regioni mentre in altri casi sono gli Stati a occuparsene). Qui, grazie alla impostazione dei PSR che nel settennio di programmazione consegnano molti miliardi di euro alle azione italiane ed europee (oltre 10 miliardi a quelle italiane), si deve puntare sempre di più sugli aspetti legati al contenimento degli effetti del cambiamento climatico e a misure atte a contrastare l’emissione di gas climalteranti in atmosfera.

Su questo secondo punto si deve dare maggiore peso alle misure di conservazione e incremento del carbonio organico nei suoli agrari, depauperati da decenni di agricoltura e monocultura intensiva; questo è un aspetto essenziale che si può realizzare grazie alla innovazione nella meccanica agraria. Da decenni esistono tecniche di coltivazione molto meno impattanti di quelle tradizionali (non entro nel dettaglio), che possono essere promosse sempre più dai PSR fornendo formazione agli agricoltori e sostegno economico. Il risultato potenziale sarebbe molto grande dato che i suoli agrari, a differenza di quelli forestali, possono contenere quantità di carbonio molto più elevate delle attuali, riducendo in modo sostanziale l’anidride carbonica in atmosfera.

5) Mercati volontari locali del Carbonio

Un ulteriore provvedimento, già sperimentato anche in Italia ma ancora troppo poco diffuso, riguarda l’apertura di mercati locali volontari delle quote di carbonio. Si tratta di una opportunità dai molteplici effetti positivi che potremmo promuovere anche a livello politico.

In questo caso si mette in contatto chi emette CO2 (industrie, aziende, chi realizza grandi eventi…) con chi riesce a fissare carbonio nella biomassa legnosa e nei suoli grazie all’utilizzo di tecniche di gestione dei boschi innovative.

Il prezzo della tonnellata di CO2 non segue necessariamente quello legato all’Emission Trading ma solitamente ha livelli maggiori. Le aziende utilizzano tale modalità per pubblicizzare la loro azione di carattere ambientale (pulendosi la coscienza) e chi attua una selvicoltura che produce negli anni accumuli di carbonio riceve il pagamento delle quote accumulate. Occorre il coinvolgimento di un ente certificatore accreditato che possa verificare e, appunto, certificare che effettivamente le pratiche stanno avendo l’effetto sperato.

Le azioni da intraprendere devono ovviamente produrre un maggiore accumulo rispetto alle ordinarie pratiche di gestione dei boschi e si possono vendere esclusivamente le quote di accumulo di carbonio prodotte grazie agli interventi effettuati.

In questo contesto le pratiche di forestazione urbana (creazione di aree seminaturali all’interno dei territori comunali delle grandi città) hanno un effetto volano molto importante. Da una parte si produce una riduzione della CO2 atmosferica con l’accumulo di carbonio nella biomassa e dall’altra si consente ai cittadini di apprendere le azioni in essere e comprendere l’importanza della riduzione delle emissioni; quindi, oltre ad un risultato concreto in termini di tonnellate di CO2, c’è un risultato di formazione e informazione della popolazione.

Tali mercati possono essere “spinti” dalle amministrazioni regionali tramite approvazione di delibere che indicano metodi e percorsi da attuare e potrebbero anche vedere un sostegno da parte dello Stato tramite provvedimenti di natura parlamentare. Anche in questo caso il sostegno potrebbe essere di natura economica (inserito in una legge di bilancio) o semplicemente di natura politica e sociale per spingere le regioni e le amministrazioni comunali a realizzarlo.